RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX -
Depistaggi, assolto De Gennaro
Genova, 8 ottobre 2009
Depistaggi, assolto De Gennaro
L'ex capo della polizia e Mortola (Digos) non furono i "mandanti". A
processo Colucci
Il capo della polizia non fu il «grande suggeritore». Non fu
Gianni De Gennaro, l'attuale responsabile dei servizi segreti, a istruire
l'ex questore di Genova Francesco Colucci su come testimoniare al processo
per i misfatti della Diaz, la scuola teatro della sanguinaria irruzione
del 21 luglio 2001, ultima notte di G8. E Spartaco Mortola, uno degli
imputati (poi assolto) per quel blitz cui partecipò come capo della Digos,
non istigò nessuno a dire il falso. Si limitò a ricostruire il vero, nel
corso di un colloquio telefonico con Colucci alla vigilia del suo
intervento in udienza come teste.
È quanto ha stabilito il giudice Silvia Carpanini ieri mattina, dopo
dodici minuti di camera di consiglio, al termine di una vera battaglia
giudiziaria tra accusa e difesa, durata mesi. Era il giorno della sentenza
per il processo forse più imbarazzante tra quelli generati dai fatti del
G8 genovese. Si è concluso con le assoluzioni di De Gennaro e Mortola, i
due imputati che avevano scelto il rito abbreviato e sospettati di essere
i "mandanti", e con il rinvio a giudizio di Francesco Colucci, il questore
destinatario dei suggerimenti e secondo l'accusa materialmente autore
della falsa testimonianza. Ne dovrà rispondere per aver tentennato, per
essersi contraddetto nell'udienza del 3 maggio 2007 davanti al presidente
Gabrio Barone, il giudice del processo Diaz che, il 13 novembre dell'anno
successivo, avrebbe chiuso la partita pronunciando 16 assoluzioni e 13
condanne "minori" (per 35 anni e 7 mesi di reclusione complessivi).
In attesa delle motivazioni della sentenza e di un eventuale ricorso in
appello della Procura, definito dai pubblici ministeri Enrico Zucca e
Francesco Albini Cardona «per nulla scontato, poichéè un pronunciamento
sul fatto e non sul diritto», tutta la questione rientra nell'argine di
quanto avvenuto nel corso di un processo pubblico. Certo il giudice ha
ammesso, a margine della sua sentenza, l'utilizzo delle intercettazioni
dello scandalo, elemento questo che a detta degli stessi pm «salva
l'impianto giuridico complessivo dell'accusa». Sono i dialoghi che hanno
messo nei guai l'ex capo della polizia e l'ex responsabile della Digos,
registrati durante le indagini, altrettanto imbarazzanti, sulla sparizione
delle bottiglie molotov (le false prove usate a sostegno degli arresti
nella scuola e poi scomparse durante il processo). Sono colloqui
fondamentali per ricostruire il retroterra psicologico e ambientale, che
fece da sfondo alla testimonianza chiave dell'ex questore. «Il capo mi ha
detto di fare un po' marcia indietro e "bisogna che aggiusti il tiro sulla
stampa"». De Gennaro, secondo questa telefonata, avrebbe indicato al
questore la più conveniente delle posizioni: non fu un'iniziativa dei
vertici chiamare i giornalisti la notte dell'irruzione. Per avvalorare un
dato di base: dire che il capo non veniva costantemente informato di
quell'operazione, significava escluderne il coinvolgimento diretto nella
sua disastrosa gestione. Ma è quanto Colucci disse in udienza a scatenare
l'accusa di falsa testimonianza. Fino al momento dell'iscrizione nel
registro degli indagati, il suo nome era sfuggito alle inchieste sugli
abusi della polizia nei giorni delle devastazioni e delle manganellate,
degli assalti ai defender e del lacrimogeni. In cosa avrebbe mentito in
aula l'ex questore? Sotto accusa le sue risposte relative ad aspetti
apparentemente marginali, nella ricostruzione di ciò che avvenne nelle
scuole Diaz e Pascoli, eppure importanti nel delineare il clima che
precedette e seguì quell'operazione dall'esito così clamoroso. «Fui io, e
non il capo della polizia, a chiamare il portavoce nei rapporti con la
stampa». Circostanza smentita dallo stesso numero due di allora, Ansoino
Andreassi. E poi i pattuglioni, i controlli in forze che sconvolsero i
gruppi di manifestanti ormai diretti a casa: «Li organizzammo per
agevolare il loro deflusso». In realtà, secondo quanto accertato in
seguito, quei servizi erano finalizzati a individuare e arrestare i black
bloc in fuga e furono ordinati da De Gennaro in persona. E poi quel fax
con il quale veniva data notizia a Roma dell'avvenuto blitz e le
circostanze affermate e poi smentite dallo stesso ex questore, prima di
trincerarsi dietro ai «non ricordo», definendo le proprie affermazioni
«sprovvedute e superficiali». Secondo il giudice Carpanini, alla fine, ci
sono concreti sospetti che mentì davvero, in aula, e per questo lo manda alla sbarra. Ma non esistono elementi per considerare Mortola e De Gennaro
suoi ispiratori. Alle sibilline dichiarazioni degli imputati, fanno da
contraltare i commenti dei legali. Soddisfatto Carlo Biondi, difensore
dell'ex capo della polizia: «Riconosciuta l'assenza di un qualunque
interesse a fare modificare la versione dei fatti di Colucci». Stessa
lunghezza d'onda per Piergiovanni Iunca, assistente di Mortola: «Crolla
l'ultimo mattone di un castello accusatorio già parzialmente demolito
dalla sentenza Diaz». Dura invece l'avvocato di parte civile, Laura
Tartarini: «Vogliamo capire come sia possibile che venga giudicato chi fa
una falsa testimonianza e assolto chi lo ha indotto, come dimostrano le
intercettazioni».
Graziano Cetara